giovedì 30 giugno 2016

La maledizione

Ricomincio dai pezzi scrissi quando tornai da Londra. Infatti pensavo di ricostruire, di cucire quei pezzi e ricominciare da lì. Ma mentre cercavo di ricostruire, ristrutturare, riprendere le relazioni con amici e parenti, ricollocarmi nel mondo del lavoro in piena crisi, cominciai a perdere i pezzi, fisicamente. Col senno di poi avrei intitolato il post Ricomincio a pezzi, ma ovviamente non avrei mai potuto saperlo. Fino a quel momento in vita mia non avevo mai subito anestesie, di nessun tipo. Ero sempre stata conscia di ciò che mi accadeva, di ciò che mi facevano, persino da ragazzina ubriaca. E invece la maledizione volle un'anestesia per ogni anno che passava dal mio rientro in Italia, concedendomi una dilazione iniziale di due mesi (persi la priorità acquisita in day hospital per il ricovero in reparto) che fece scattare il primo evento all'anno solare successivo. Già, la rea dell'autocontrollo, che ero stata in passato, subiva l'anestesia come legge del contrappasso. E la rea dell'anarchia subiva la reclusione ospedaliera come legge del contrappasso. Schwanden, sembra assurdo ma accadde proprio questo. A Londra non andai mai una volta dal medico di base, nemmeno per sceglierlo. Tornai in Italia e non mi bastò più andare neanche dallo specialista, necessitavo di un chirurgo. E così, fu la volta della cistifellea, due giorni di degenza in ospedale più uno di scherzo (non solo persi la priorità in day hospital, ma rimandarono l'intervento in reparto dopo una pre-anestesia, come raccontai). L'anno dopo, fu la sorpresa della bimba, anche se in effetti qui si parla più di creazione che di perdita di un pezzo, però richiese 23 giorni di degenza più il parto cesareo, dove appunto persi il privilegio del controllo, del parto attivo, seppur l'anestesia non fu totale. Poi fu la volta dei denti del giudizio, di cui non raccontai nulla perché non fu rilevante in sé, ma solo nel contesto di un piano “malefico”.
E emigrando qui, pensavo di sfuggire a questa legge, di sciogliere la maledizione. Pensavo fosse legata alla mia terra, alle mie origini, ma invece è legata proprio a me, alla mia vita, senza ieri, né domani. Schwanden, la maledizione non solo mi perseguita, ma fa parte di me.”

“Però, devo interpretare tutto questo come una descrizione poetica e solenne di tutta una serie di sfortunati eventi, meglio conosciuti come sfighe. Già, una teoria di sfighe diventa un piano maledetto. Sembra quasi che tu stia trovando una giustificazione alla sfortuna. Se non ti conoscessi, potrei pensare che tu sia assurdamente religiosa o superstiziosa.”

“Io aggiungerei anche picchiatella e fatalista.”

“Invece so bene che in fondo per te la Provvidenza agisce semmai come la mano invisibile di Adam Smith piuttosto che secondo il piano di qualsiasi legge biblica o del contrappasso.”

“La sfortuna di romanzo vestita, esattamente così. Questa è la mia risposta alle disavventure. Visto che la sfortuna appare sempre nuda, cruda, cieca, bieca, senza ragione né programma, senza nazione né cartogramma ho provato a vestirla, a darle una ragione, un senso, un piano e anche una nazione. Tuttavia resta internazionale e senza frontiere.”

“Però dimmi, se la maledizione ha avuto origine da quei pezzi ed è diventata parte di te seguendoti ovunque, mi chiedo quale pezzo ti stia domandando ora, o la tua è solo una paura?”

“Schwanden, ormai non ho più paura. Accetto tutto, qualsiasi cosa domandi, anche se l'istinto di avvalersi della facoltà di non rispondere senza dubbio c'è. Molti sostengono che contro una patologia si debba lottare. Questo è il lavoro di un medico, che lotta per una causa generica, e non per una singola persona. Per il paziente è diverso. Il medico ambisce a far funzionare il macchinario il più a lungo possibile, a qualsiasi condizione o costo. Al paziente invece importa che il macchinario lo porti almeno fin dove voleva arrivare e che il viaggio sia piacevole. Il medico guarda il macchinario dall'esterno. Il paziente ci viaggia dentro. Se un paziente lottasse contro la sua patologia, di fatto lotterebbe contro la sua stessa carne, contro i suoi stessi pezzi, contro la vettura che lo fa viaggiare. E invece se i pezzi sono malati, bisogna lasciarli andare se non si possono riparare, visto che non si può nemmeno cambiar vettura. E in ogni caso, anche se fossero sani, non bisognerebbe attaccarsi alla propria carne, non bisognerebbe attaccarsi a qualcosa che deperisce, che si usura. Un paziente deve lottare per non far scappare il sorriso, non la propria bocca. Un paziente deve lottare per continuare a percepire la vita con i cinque sensi e non per gli occhi, le mani, la lingua, le orecchie, il naso. I pezzi privi di sensibilità non sono altro che carne da chirurgo. La sensibilità non è nel corpo, ma nell'anima.”

“Senti, ma veniamo al dunque. Non credevo che la narrazione prendesse questa svolta.”

“Non lo credevo nemmeno io. Volevo parlarti ancora degli svizzeri, ma ho dovuto rivedere la scaletta.”

“Perché? Cosa è successo? Puoi dirmi quale sarà il prossimo pezzo a cui dovrai rinunciare?”



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